Cristina de Kirchner è tornata a lavoro e la sua prima decisione è stata quella di sostituire alcuni membri dello staff governativo. Un’azione che ha immediatamente chiarito quale sarebbe stato il nuovo corso della politica argentina. In realtà, parlare di nuovo corso è improprio, poiché la matrice ideologica dell’esecutivo non è cambiata, se non nella sua intensità. Difatti, la “presidenta”, dimessasi dall’ospedale in cui era stata ricoverata per un intervento al cervello (le era stato diagnosticato un coagulo di sangue), ha operato una kirchnerizzazione dell’apparto politico ed economico nazionale. Ha così nominato nuovi funzionari e ministri più vicini alla tradizione politica della Casa Rosada, lasciando presumere per il prossimo futuro un approccio più interventista del governo nelle dinamiche del paese. Quali sono le motivazioni alla base di questa scelta? Per individuarle è opportuno valutare il contesto economico e politico in cui si è ritrovata la Kirchner al termine della degenza in ospedale.
L’operazione chirurgica è andata bene e il periodo di convalescenza è stato breve. Più difficile è stato affrontare il ritorno alla vita politica, a causa del grave trauma causatole dalle elezioni legislative di medio termine del 27 ottobre scorso. In quest’occasione si votava per rinnovare la metà dei seggi della Camera dei Deputati e un terzo di quelli del Senato. La coalizione al potere Frente para la Victoria (FPV) è stata sconfitta in 12 distretti elettorali su 24, inclusi i 5 più popolati dell’Argentina. Sia Unión Cívica Radical (UCR, formazione di centro storicamente avversa al peronismo) che il Frente Renovador (FR, peronismo dissidente, di centrodestra) hanno allargato il proprio bacino di consensi. Certo, nonostante la debacle, il kirchenirismo ha conservato la maggioranza assoluta in Parlamento: tuttavia, con quelle consultazioni Cristina ha perso anche la possibilità di modificare la costituzione e garantirsi un terzo mandato (difatti, la revisione della carta necessita nel caso specifico della maggioranza dei due terzi).
L’indebolimento del kirchnerismo a livello politico-istituzionale è stato in parte generato dall’inettitudine mostrata sul piano finanziario, sul piano amministrativo e su quello sociale. Le misure adottate dall’esecutivo per contrastare la crisi si sono dimostrate inefficaci: l’inflazione galoppante (opportunamente tenuta nascosta dall’establishment) e il debito estero erodono il potere d’acquisto dei consumatori, che si trovano a fare i conti con un peso oscillante e svalutato. Un problema strutturale, che si accompagna alla corruzione dell’apparato burocratico e all’alto tasso di criminalità.
In ultimo, è bene segnalare una questione che sta molto a cuore alla presidenta: a chi lasciare la sua eredità politica. Mancano due anni alla fine del suo mandato e Cristina è impegnata a individuare un candidato in grado di fronteggiare sfidanti competitivi. Più specificatamente, la minaccia principale alla sua egemonia in quest’ambito è incarnata dal peronismo dissidente del Frente Renovador, guidato da Sergio Massa. In passato membro dell’esecutivo kirchnerista, Massa aveva già dato prova delle sue potenzialità battendo alle primarie dello scorso agosto nella provincia di Buenos Aires (dove risiede quasi il 40% dell’elettorato) l’uomo sostenuto dalla Casa Rosada, Martin Insaurralde. In seguito, aveva rafforzato la sua presenza in Parlamento rubando elettori al Frente para la Victoria. Il sindaco della città di Tigre punta ora a vincere le presidenziali del 2015, ponendo fine al lungo regno dei Kirchner.
Cristina ha circa due anni di tempo per modificare uno status politico ed economico nazionale che non gioca a suo vantaggio. Così, considerata la maggioranza assoluta che il FPV continua a detenere al Congresso, il rimpasto di alcuni membri dell’esecutivo (il capo di gabinetto, il ministro dell’Economia e quello dell’Agricoltura) e la nomina di un nuovo presidente della Banca Centrale possono essere interpretati come il tentativo della Kirchner di lavorare con una classe dirigente più ideologicamente vicina alle proprie posizioni: un’élite pronta a seguire il proprio leader indiscriminatamente, per convinzione e non solo per convenienza. Esemplificativo a riguardo è il nuovo ministro dell’Economia Axel Kicillof, che aveva supervisionato la nazionalizzazione di Aerolinas Argentinas (compagnia aerea di bandiera) e della società petrolifera argentina YPF (in precedenza, sotto il parziale controllo della multinazionale spagnola Repsol), molto temuto dagli investitori privati. Così come il nuovo capo di gabinetto, Jorge Capitanich, fedelissimo della presidenta, di cui condivide le visioni più radicali. Proprio Capitanich potrebbe essere l’erede di Cristina, ragionano alcuni osservatori, dato che Daniel Scioli, governatore della provincia di Buenos Aires e presidente del Partido Justicilista (formazione peronista che integra la coalizione Frente para la Victoria), oltre ad apparire conservatore, è accusato di opportunismo: sosterrebbe la Kirchner solo perché necessita del consenso del suo elettorato per vincere le prossime elezioni presidenziali.
Nulla fa supporre che in questi due anni la situazione cambierà in Argentina. Soprattutto se si pensa che, con le sue nuove nomine, più che intraprendere un’inversione di rotta l’esecutivo ha scelto di perseverare nelle proprie scelte.