In un minuto abbiamo guardato 167 milioni di video su Tik Tok. Ecco il nostro uso dei media online nel 2021

In sessanta secondi i Facebook live hanno totalizzato ben 44 milioni di visualizzazioni quest’anno. E in un solo minuto abbiamo anche guardato 452 mila ore di contenuti in streaming su Netflix

Quest’anno in un minuto gli utenti di Tik Tok hanno guardato 167 milioni di video. Un numero che racconta la popolarità della piattaforma cinese sviluppata da ByteDance. Ma che mostra anche quanto la nostra vita digitale sia dominata dai social media. Perché in quei sessanta secondi i Facebook live hanno totalizzato ben 44 milioni di visualizzazioni. A rivelarlo sono i dati raccolti da Statista, che mostrano come abbiamo usato i media in un minuto di tempo trascorso su internet nel 2021. E che offrono così uno spaccato sulle nostre attività online. 

Le piattaforme di Mark Zuckerberg & Co continuano a conquistare la nostra attenzione passiva, tra lo scorrere del news feed e la visualizzazione dei video, e soddisfano il nostro bisogno di esprimerci in modo creativo. Lo dimostrano le 65 mila foto caricate dagli utenti di Instagram in un minuto, i 575 mila tweet postati dagli utenti di Twitter e le 240 mila foto pubblicate dagli iscritti a Facebook. E in quest’ambito l’ascesa di Tik Tok non si ferma. 

Il social network cinese conta oltre un miliardo di persone attive tutti i mesi e ha visto crescere i suoi iscritti del 45 per cento rispetto all’estate del 2020. Certo, la competizione con le altre piattaforme per la conquista di nuovi spazi rimane serrata. A inizio 2021 Facebook manteneva la prima posizione tra i social più popolari al mondo con oltre 2,7 miliardi di utenti attivi; ma a maggio, TikTok è stata l’app non di giochi pìù scaricata a livello internazionale sia sul PlayStore di Google sia sull’App Store di Apple, arrivando a 80 milioni di nuovi download. 

Una tendenza confermata anche nel nostro Paese, visto che nel marzo scorso Facebook è stato il social più utilizzato: contava 35,9 milioni di utenti unici, anche se con una variazione negativa su base annuale (-2,5 milioni di navigatori). Al contempo, però, Tik Tok ha registrato un incremento del numero di iscritti (+3,4 milioni).

Questo successo non poteva rimanere chiuso nei confini dell’intrattenimento, ma ha subito rivelato le opportunità offerte dallo shopping online. Il social cinese ha infatti recentemente fornito ai brand nuovi strumenti per realizzare le loro campagne e per agevolare il processo di acquisto dei prodotti pubblicizzati nei video su Tik Tok. Un modo in più per aiutare le aziende a cavalcare il boom dell’e-commerce, a cui hanno contribuito anche i lockdown del 2020. In effetti, se guardiamo all’uso dei media su internet che abbiamo fatto in un minuto quest’anno, ben 6 milioni di persone hanno fatto acquisti online.

Il Covid-19 ha sicuramente cambiato il nostro modo di lavorare e trascorrere il tempo libero. Ha accelerato il processo di digitalizzazione della società, una tendenza già in atto anche se con velocità diverse nei vari Paesi. La reclusione nelle mura domestiche e lo smart working ci hanno spinto a cercare sul web quelle forme di intrattenimento, di relax e di relazione sociale che il mondo reale non poteva più darci, finendo per condizionare le nostre abitudini e perfino cambiarle. I 148 mila messaggi inviati su Slack in un minuto, gli 856 minuti di webinar su Zoom o i 100 mila utenti connessi su Teams danno la misura di un nuovo modo di organizzare la nostra vita lavorativa che si è imposto dopo la pandemia.

E se la presenza quotidiana di Google nelle nostre giornate è ormai consolidata (sono state effettuate 5.700.000 ricerche in 60 secondi quest’anno), grande spazio lo hanno conquistato i servizi di video streaming, gratis e a pagamento. Grazie a una migliore infrastruttura, che garantisce connessioni più veloci, e piani tariffari competitivi, la fruizione di film, serie tv e filmati sul web non arresta la sua crescita. Netflix è uno dei protagonisti di questo comparto: in un minuto nel mondo abbiamo guardato 452 mila ore di contenuti nel 2021. La piattaforma di streaming video ha registrato oltre 209 milioni di abbonamenti alla fine del secondo trimestre di quest’anno. E per soddisfare l’appetito degli utenti, ha lavorato per ampliare il ventaglio di titoli prodotti in casa: nel 2019 aveva realizzato 2769 ore di contenuti originali, un balzo considerevole rispetto alle 73 ore del 2013. 

Un successo che però non mette in ombra Youtube: in un minuto sono state erogate ben 694.000 ore di video. La sua popolarità è cresciuta molto anche perché durante i periodi di quarantena si è sostituita alla televisione: a inizio 2021 contava quasi 2,3 miliardi di utenti attivi. 

Infine, tra le attività online più popolari ci sono anche le comunicazioni attraverso app di messaggistica. In un solo minuto nel 2021, 12 milioni di messaggi sono stati inviati su iMessage. Le app più scaricate dal Play Store di Google lo scorso luglio sono state WhatsApp e Telegram, rispettivamente con 19,81 milioni e 17 milioni di download.

Pubblicato su Repubblica Italian Tech il 15 ottobre 2021

Wasp e Honda rivoluzionano il design motociclistico grazie alla stampa 3D collaborativa

La tecnologia dell’azienda italiana viene impiegata per la realizzazione di modelli in argilla che potranno poi essere rifiniti manualmente. Il materiale impiegato potrà poi essere utilizzato e ri-stampato più volte

Un processo di lavorazione industriale più libero, rapido e sostenibile, che rivoluziona il design motociclistico grazie alla stampa 3D collaborativa. È il frutto dell’accordo tra Honda R&D Europe, specializzata nei concept di auto e moto, e WASP, azienda romagnola leader nel settore della stampa tridimensionale. I prototipi in argilla verranno realizzati con la stampa 3D a partire da modelli computerizzati, e potranno poi essere rifiniti manualmente ed eventualmente ri-trasformati qualora non corrispondano alle caratteristiche richieste. Con questa tecnologia, il materiale impiegato nel processo potrà poi essere utilizzato e ri-stampato infinite volte, in una logica di sostenibilità ambientale ed economica.

La collaborazione tra le due aziende prova così a rompere la tradizione nel settore della prototipazione, dove la creazione di un nuovo modello avviene attraverso la lavorazione manuale dell’argilla industriale. Con questa collaborazione, infatti, integrano il sapere manuale con l’additive manufacturing (manifattura additiva), il processo di lavorazione che permette di fabbricare oggetti aggiungendo uno strato sopra l’altro.

WASP già nel 2017 aveva sperimentato tipologie di estrusione per argilla industriale, quel processo che riproduce un pezzo facendo passare per compressione il materiale allo stato pastoso attraverso una sagoma. L’accordo con HONDA R&D permette di applicare queste innovazioni anche al settore del design motociclistico. “La ricerca di WASP ha portato alla realizzazione di una macchina rivoluzionaria per la stampa del clay industriale, la DELTA WASP 40100 clay, capace di estrudere e rendere infinito e riutilizzabile il materiale”, ha spiegato Nicola Schiavarelli, Responsabile di Prodotto e uno fra i fondatori di WASP. Che aggiunge: “Per questo noi consideriamo la stampa 3D collaborativa di WASP un nuovo concept nel settore additivo”.

Un metodo di lavorazione che non intende sostituire l’uomo, ma vuole dargli una mano, ottimizzando i tempi e riducendo la quantità di materiale utilizzato rispetto ai processi di natura sottrattiva tradizionali, ha fatto notare Antonio Arcadu, design modeling coordinator di Honda R&D Europe. In altre parole, questa innovazione vuole superare la dicotomia tra uomo e macchina, e anche a ridurre l’impatto sul pianeta provocato dai processi di sviluppo di nuovi concept.

Pubblicato il 13 ottobre 2021 su Repubblica Italian Tech

L’idea di Instagram per spingere gli adolescenti a passare meno tempo sui social

Nick Clegg, uno dei presidenti di Facebook, ha annunciato la nuova funzione e ha spiegato che ci sarà meno politica nel News Feed

Meno politica su Facebook e una nuova funzione su Instagram pensata per spingere gli adolescenti a prendersi una pausa e a trascorrere meno tempo sui social network, ma soprattutto a evitare contenuti pericolosi per il loro benessere psicologico. Sono le misure annunciate dal colosso tech dopo le polemiche nate dall’inchiesta del Wall Street Journal e dalla testimonianza di fronte al Congresso dell’ingegnere informatico Frances Haugen sull’impatto che il consumo di alcuni contenuti pubblicati su queste piattaforme ha sulla salute mentale dei giovani.

Il quotidiano americano aveva raccontato gli effetti negativi sul piano psicologico emersi dai dati di una ricerca interna all’azienda. Documenti che erano stati girati alla redazione dalla Haugen, che aveva iniziato a lavorare per Facebook nel 2019 prima di dimettersi nell’aprile di quest’anno: durante un’intervista alla trasmissione 60 Minutes, la sviluppatrice aveva detto che la società di Menlo Park avrebbe sviluppato algoritmi che amplificano il cosiddetto hate speech e l’ha accusata di anteporre i profitti al benessere delle persone. Dichiarazioni che erano state respinte dal co-fondatore del social network, Mark Zuckerberg, che ha definito “illogiche” le accuse.

Il vicepresidente per gli Affari globali di Facebook, Nick Clegg ha spiegato in cosa consistono le ultime misure, anche se per il momento è ancora tutto in fase di progettazione e non è stata resa nota una data di uscita delle future funzionalità. Più nel dettaglio, una nuova tecnologia permetterà di tenere gli adolescenti alla larga dai contenuti che potrebbero essere dannosi per la loro salute mentale: “Quando i nostri sistemi vedranno che un teenager sta visualizzando un certo tipo di contenuto ripetutamente, ed è un contenuto che potrebbe nuocergli, lo spingeremo a guardare un contenuto diverso”.

Che cosa succederà su Instagram
Il manager ha poi aggiunto che non solo la società tech ha tirato il freno a mano sul progetto di Instagram Kids, una piattaforma per i più giovani, ma ha in programma di realizzare una nuova funzionalità denominata Take a break, che dovrebbe spingere ragazzi e ragazze a prendersi una pausa dal social delle immagini.

Come ricordato da The Verge, si tratta di nuove feature la cui idea era già stata presentata dal capo di Instagram, Adam Mosseri, in un post pubblicato lo scorso settembre, in cui si parlava anche dell’impegno a sviluppare strumenti che permettano ai genitori di supervisionare gli account dei figli.

Allo stesso tempo, Facebook intende ridurre la presenza di contenuti relativi alla politica nel News Feed: nel giustificare il nuovo corso, Clegg ha spiegato che l’azienda ha deciso di dare seguito a una richiesta che veniva dagli iscritti, che desiderano “vedere più amici e meno politica. Una scelta che segue la decisione di rimuovere le misure di sicurezza eccezionali implementate dal colosso della tecnologia per le ultime elezioni presidenziali americane: misure temporanee, perché introdotte solo per quella situazione particolarmente polarizzante, e che finivano anche per gravare sulla pubblicazione e la performance di video e contenuti innocui e legittimi.

Il manager ha ribadito gli sforzi della piattaforma per contrastare la disinformazione, ma ha replicato in modo evasivo a una domanda di Dana Bash, giornalista della Cnn, che gli ha chiesto se gli algoritmi hanno amplificato le voci delle persone che hanno partecipato all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio scorso: ha spiegato che non poteva rispondere con un sì o un no, “visto che abbiamo migliaia di algoritmi e milioni di persone che li usano”.

Pubblicato su Repubblica Italian Tech il 12 ottobre 2021

L’ex numero due della NASA Dava Newman: “Per salvare il pianeta ed esplorare Marte serve l’ingegno delle donne”

Intervistata dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari durante l’evento organizzato dal gruppo Women20 del G20, la direttrice del MIT Media Lab di Boston ha parlato del futuro delle esplorazioni spaziali e degli ostacoli ancora da superare per raggiungere la parità di genere 

Esplorare Marte e lo spazio, combattere il cambiamento climatico, sviluppare nuove tecnologie che proteggano il nostro pianeta e rendano migliore la vita di chi lo abita. Sono alcuni degli obiettivi che governi e scienziati stanno cercando di realizzare. Ma non potremmo riuscirci in tempi brevi se non coinvolgiamo tutte le intelligenze e le forze di cui disponiamo. “Non possiamo permetterci il lusso di non fare sedere tutti a questo tavolo. Dobbiamo aspirare alla parità di genere e lottare contro ogni discriminazione: è fondamentale se vogliamo risolvere queste problematiche”, ha spiegato Dava Newman, ex deputy amministrator della NASA e attuale direttrice del MIT media lab di Boston. Intervista dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari durante l’evento Life in Danger on mother Earth, organizzato dal gruppo Women 20 nell’ambito del G20, la Newman ha spiegato che ci sono ancora alcuni ostacoli che impediscono un maggiore accesso delle ragazze alle materie scientifiche STEM: “Dobbiamo dire sì a tutte le ragazzine che sognano di viaggiare nello spazio e che per questo combattono contro tanti stereotipi e vengono scoraggiate. Dobbiamo cambiare le conversazioni che sentiamo nelle nostre case”.

Nel corso del colloquio, l’ex numero due della Nasa ha raccontato come le tecnologie spaziali e l’intelligenza artificiale vengono utilizzate per combattere il cambiamento climatico e salvaguardare la vita sulla Terra contro eventi estremi, ad esempio le inondazioni: “L’Intelligenza artificiale e il Machine Learning ci consentono di raccogliere e analizzare i dati delle inondazioni del passato e di creare via satellite una sorta di immagine del futuro, una proiezione di quello che potrebbe verificarsi il prossimo mese o il prossimo anno. In questo modo potremmo organizzare l’evacuazione delle popolazioni che risiedono in luoghi pericolosi e salvare vite umane”. In altre parole, grazie ai satelliti di ESA e NASA, scienziati e governi guardano la Terra, la studiano, analizzano gli oceani e la biodiversità che li caratterizza, ma anche il clima: una conoscenza che poi viene condivisa e che serve anche a istruire le persone, mostrando loro l’incremento della temperatura del pianeta e contribuendo così a promuovere stili di vita più sostenibili. “Non basta raccogliere i dati, dobbiamo cambiare le menti e i cuori delle persone, cambiare i loro comportamenti”, ha commentato Dava Newman.

Incalzata dalle domande del direttore Molinari su una possibile vita su Marte e sul futuro dei viaggi spaziali, la direttrice del MIT Media Lab ha poi fatto notare che mentre il turismo in orbita rimarrà un comparto di cui continueranno a occuparsi le imprese private, l’esplorazione dello spazio e dei pianeti resterà una priorità per la agenzie governative. “Sono stati individuati 4.000 esopianeti, andremo su Giove, abbiamo già una missione. Il governo finanzierà l’esplorazione e lo sviluppo di nuove tecnologie”, ha sottolineato, spiegando poi il senso dei viaggi sul pianeta rosso: “Andiamo su Marte perché vogliamo analizzare le prove che dimostrano che c’è stata vita su quel pianeta. Vogliamo esplorarlo per aumentare la nostra comprensione della realtà”.

Più nel dettaglio, Dava Newman ha fatto notare che se nel prossimo decennio, dal 2030 in poi, sarà possibile andare a vivere sulla Luna, al contempo si sta lavorando per inviare delle persone su Marte. “Al momento abbiamo lì una stazione che non è popolata da esseri umani, stiamo producendo anche ossigeno e abbiamo degli esperimenti in corso per studiare l’atmosfera del pianeta e i terremoti che ci sono stati, ma anche per provare a produrre carburante”. L’idea è quella di provare ad avere una stazione di rifornimento su Marte, visto che per raggiungere il pianeta ci vogliono 8 mesi ed è necessario garantire che ci sia carburante a sufficienza per tornare dal viaggio.

Gli esseri umani non devono solo impegnarsi a esplorare lo spazio, devono anche migliorare la vita sulla Terra, adottando comportamenti diversi per contrastare il cambiamento climatico. E questa è una responsabilità di tutti i Paesi, soprattutto quelli più industrializzati. “Stati Uniti, Cina, India, tutti devono essere responsabili delle emissioni che producono, riducendo ed eliminando il consumo di combustibili fossili e ragionando sull’impiego di altre forme di energia, tra cui quella nucleare”, ha continuato Dava Newman.

In ultimo, rispondendo a una domanda del direttore Molinari sui piani nazionali per combattere gli stereotipi di genere promossi dalla Women20, l’ex numero due della NASA ha spiegato che il punto di partenza deve essere l’istruzione: bisogna insegnare agli studenti che devono comportarsi nel modo giusto e far capire alle ragazze che qualsiasi percorso professionale decidano di intraprendere, non troveranno discriminazioni lungo la loro strada.

Pubblicato su Repubblica Italian Tech il 6 ottobre 2021

Privacy e intelligenza artificiale, aumentano le persone che chiedono la cancellazione dei loro dati

La trasparenza nel trattamento delle informazioni è una richiesta imprescindibile per i consumatori, che spesso non si fidano di come le aziende usano quello che sanno di loro

L’innovazione tecnologica e il processo di digitalizzazione dell’economia, accelerati dalla pandemia di Covid-19, stanno cambiando il modo in cui lavoriamo, studiamo, trascorriamo il tempo libero o ci curiamo.

In un mondo sempre più dotato degli strumenti per sfruttare appieno le potenzialità di Internet e dei dati, la protezione della privacy continua a essere una priorità per gli individui, le organizzazioni economiche e i governi nel mondo. I consumatori temono gli usi che possono essere fatti delle loro informazioni grazie all’intelligenza artificiale e gli abusi hanno eroso la loro fiducia. Per questo pretendono trasparenza e controllo nelle pratiche che comportano la raccolta dei loro dati, anche quando il fine è contrastare una pandemia. E anche se le leggi sulla privacy sono accolte positivamente nel mondo, la conoscenza delle stesse rimane bassa.

A dirlo è il Cisco 2021 Consumer Privacy Survey, che ha cercato di analizzare l’attitudine degli individui verso il trattamento dei dati personali da parte delle aziende, una questione fondamentale per le realtà che vogliono consolidare la fiducia dei consumatori. Allo studio hanno partecipato 2600 adulti in 12 Paesi diversi (5 in Europa, 4 nella regione dell’Asia Pacifico e 3 nelle Americhe): “I consumatori vogliono sapere quali informazioni vengono raccolte, per quali finalità e in che modo vengono elaborate – ci ha detto Andrea Negroni, country leader della cybersecurity per Cisco Italia – La sfiducia verso le aziende dipende dalla capacità di quest’ultime di rispondere a tali domande e di garantire la protezione dei dati degli utenti”.

Gli attivisti della privacy
La trasparenza nel trattamento dei dati è una richiesta imprescindibile per molti individui, che non si fidano di come le aziende usano le informazioni che li riguardano. Nonostante i regolamenti sulla privacy e le tecnologie che aiutano a impedire accessi non autorizzati, quasi la metà delle persone che hanno risposto al sondaggio (il 46%) pensano di non essere in grado di proteggere efficacemente i loro dati. La ragione principale è l’adozione da parte delle aziende di pratiche poco chiare nella raccolta e utilizzo di queste informazioni: il 76% degli intervistati non riesce a capire come verranno utilizzate dalle imprese.

E così sempre più persone si stanno impegnando attivamente a proteggere la loro privacy, chiedendo la modifica o la cancellazione dei loro dati o anche interrompendo il rapporto che avevano con un’azienda, online oppure offline, a causa di preoccupazioni legate al trattamento delle informazioni personali: “Un terzo ha abbandonato i servizi forniti da società di social media e un 28% il fornitore di accesso a Internet”, si legge nel report. Ancora: “Il 19% ha interrotto una relazione con un retailer, un altro 19% con un fornitore di carta di credito e un 18% con una banca o un’istituzione finanziaria”. Un fenomeno che ha riguardato soprattutto i consumatori più giovani, visto che il 44% del totale degli attivisti della privacy ha tra i 25 e i 34 anni: un dettaglio che fa prevedere per il futuro un aumento delle persone che si comporteranno in questo modo se questo trend dovesse rimanere immutato.

Secondo Cisco, “questa tendenza riflette la necessità di comprendere appieno il processo di raccolta dei dati, il tipo di governance che è stata applicata, ma anche di avere sempre accesso agli stessi e di gestirne il ciclo di vita”. Esigenze sentite fortemente anche nel nostro Paese: tra gli Stati che hanno registrato un maggior numero di richieste alle aziende di modifica o cancellazione dei dati dei consumatori c’è anche l’Italia (il 25% degli intervistati), dietro a India (37%) e Brasile (26%).

Scarsa conoscenza delle leggi
Nonostante l’accoglienza positiva dei regolamenti per la protezione dei dati personali in diverse parti del mondo, sono ancora pochi i consumatori che li hanno compresi: in Europa, solo il 38% degli spagnoli intervistati, valore che sale al 44 in Italia, al 46 in Germania, al 55 in Francia e al 58% nel Regno Unito. Percentuali che però si abbassano in altre parti del mondo, dal Giappone (25%) alla Cina (33%), fino al Brasile (37%).

Una tendenza paradossale, se si pensa che le leggi sulla privacy sono percepite in modo positivo dai consumatori e che molti di loro non si fidano di come le aziende trattano i loro dati personali: la maggior parte delle persone intervistate ha detto di preferire che siano i governi nazionali a garantire controllo e protezione. Per Negroni, comunque, la piena conoscenza delle leggi sulla privacy da parte dei consumatori è un processo che richiede tempo: “Entrare nel merito delle normative è più complesso, è un passaggio successivo alla richiesta degli individui di capire come vengono gestiti i loro dati. Questa voglia di conoscere le modalità di trattamento delle informazioni personali è un atto di maggiore consapevolezza della nostra vita digitale, che precede la decisione di comprendere anche le leggi che regolano la materia”.

Nessuna rinuncia alla protezione della privacy
Anche durante la pandemia di Covid-19, la maggior parte delle persone non vuole rinunciare alla protezione della privacy, in particolare quando si tratta di dati relativi alla salute: “Sono informazioni critiche rilevanti, e il tema della fiducia diventa ancora più importante per le persone che sono chiamate a condividerle”, è il commento dell’esperto che abbiamo consultato. La ricerca mostra che solo il 41% dei partecipanti al sondaggio è a favore della comunicazione di ogni informazione relativa a persone contagiate, un valore che aumenta quando si parla di richiedere lo status di vaccinato come requisito per andare in ufficio o luoghi pubblici (60 e 62%, rispettivamente).

Si tratta di valori medi, visto che la differenza tra un Paese e l’altro può essere notevole. Il sostegno alla condivisione delle informazioni personali relative allo status di vaccinazione varia dalla percentuale più bassa che riguarda la Germania (48%) a quelle più alte di India (81%) e Cina (77%); l’Italia è a metà dell’elenco dei Paesi esaminati: il 68% degli intervistati vede l’utilizzo del Green Pass come “un importante aiuto per un rientro in ufficio sicuro”.

Timori per l’uso dell’intelligenza artificiale
L’IA permette alle imprese di analizzare i dati dei consumatori per fornire loro esperienze migliori, dallo shopping ai servizi sanitari. Tuttavia, sono tanti gli individui che non si fidano di lasciare questo grande potere in mano alle aziende: il 56% ha espresso preoccupazione sull’utilizzo delle informazioni personali che vengono raccolte e gestite da sistemi basati sull’intelligenza artificiale. Soprattutto quando questa tecnologia viene impiegata per dedurre l’etica del lavoro di un candidato che si presenta a un colloquio oppure lo stato di salute mentale di individuo, un utilizzo dell’intelligenza artificiale che rischia di minare la fiducia verso un’azienda: “L’IA è uno strumento che, dato un input, restituisce un output – ci ha fatto notare Negroni – Una tecnologia che permette di analizzare informazioni in modo più veloce di quanto farebbe l’uomo e che per il consumatore potrebbe risultare invasiva. Per questo, le persone vogliono sapere che tipo di output verrà prodotto e come”.

I risultati del report suggeriscono quindi che le organizzazioni dovrebbero essere particolarmente attente nell’uso dell’Intelligenza artificiale nei processi di decision making che hanno un impatto diretto sugli individui. Lo studio mette in evidenza così la necessità di una maggiore trasparenza informativa e della definizione di princìpi etici quando si fa affidamento a questi sistemi: “Per consolidare la relazione di fiducia con i consumatori, l’azienda deve distinguersi per una comunicazione chiara degli aspetti relativi al trattamento dei dati e deve dare garanzie agli utenti che sarà impedito ogni accesso non autorizzato alle sue informazioni –  ha aggiunto l’esperto di Cisco – Dovrà anche dimostrarsi capace di proteggere i dati da eventuali violazioni e assicurare che anche i fornitori rispettino standard e certificazioni”.

Il New Trust Standard di Cisco
Per rispondere a queste esigenze delle aziende, Cisco ha elaborato quello che ha chiamato New Trust Standard, uno strumento che consente di valutare il loro livello di affidabilità durante il percorso di trasformazione digitale, così come di creare relazioni di fiducia con i clienti in un mondo sempre più ibrido e in cui i dati raccolti online e il panorama delle minacce informatiche è in costante aumento.

Si tratta di un framework che consente di verificare l’affidabilità delle soluzioni aziendali con l’obiettivo di rafforzare la fiducia dei clienti. Si basa su 5 elementi chiave:

  • Architettura Zero-Trust, che permette di tenere lontano i criminali informatici, verificando costantemente la connessione di ogni dispositivo;
  • Trusted supply chain, che significa sapere tutto dei dispositivi che utilizziamo, da come sono prodotti a dove si trovano, lavorando a stretto contatto con i fornitori per evitare qualsiasi tipo di rischio;
  • Trattamento dei dati, cioè gestire e proteggere adeguatamente i dati, indirizzando le aspettative dei clienti e i requisiti normativi;
  • Trasparenza, cioè essere chiari su quali dati vengono raccolti e come vengono utilizzati, comunicare in modo trasparente eventuali problemi nel momento in cui si verificano e ciò che si sta facendo per porvi rimedio;
  • Certificazioni e conformità legislativa, cioè infondere fiducia ai clienti attraverso le certificazioni di affidabilità ottenute da enti indipendenti.

Pubblicato su Repubblica Italian Tech il 4 ottobre 2021

Stop al progetto Instagram for Kids, ma “il nostro social non è tossico per le ragazzine”

La società di Menlo Park fornisce la sua versione sui risultati emersi dagli studi interni sull’impatto del social media sul benessere degli adolescenti

“Non è accurato dire che Instagram è tossico per le ragazze adolescenti”: così Facebook ha risposto all’inchiesta pubblicata due settimane fa dal Wall Street Journal, che aveva rivelato 3 anni di ricerche riservate dell’azienda di Menlo Park sull’impatto dei social delle immagini sul benessere degli utenti.

Il quotidiano aveva raccontato gli effetti negativi sul piano psicologico (come ansie, insicurezze e pensieri negativi sul proprio corpo) emersi dai dati raccolti e poi diffusi su una chat interna di uno dei colossi di Internet.

Messo “in pausa” il progetto Instagram for Kids
Un resoconto che però ha mal interpretato i contenuti di quella ricerca, sostengono ora i vertici di Facebook, anche in vista di un’audizione al Senato Usa, prevista per giovedì: Antigone Davis, global head of safety di Facebook, dovrà replicare ai vari punti critici evidenziati dal Wall Street Journal di fronte alla sottocommissione del Commercio, fornendo anche qualche dettaglio in più sul piano di un nuovo Instagram for Kids dedicato ai bambini. Che nel frattempo è stato messo “in pausa”.

Proprio sulla scia di queste polemiche, il numero uno di Instagram, Adam Mosseri, ha spiegato che l’azienda ha deciso di sospendere il progetto della piattaforma Ig Kids, pensata per gli under 13, appunto per “esaminare le preoccupazioni” sul piano dell’accesso e dei contenuti: questo permetterà di avere il tempo di “lavorare con genitori, esperti, policy maker e regolatori, per ascoltare le loro preoccupazioni e dimostrare il valore e l’importanza di questo progetto online per i giovani adolescenti di oggi”. Mosseri ha detto anche che Instagram crede che sia meglio che i bambini sotto i 13 anni abbiano una piattaforma specifica, con contenuti appropriati alla loro età, ricordando che altri social network, come TikTok e YouTube, hanno già versioni delle loro app riservate a quell’età. stg/lcl

Gli esiti della ricerca, secondo Facebook
In ogni caso, almeno secondo l’azienda, la ricerca avrebbe in realtà dimostrato che molti dei teenager con cui hanno parlato pensano che “l’uso di Instagram li aiuti quando devono affrontare quei momenti difficili e quei problemi con cui solitamente si scontrano gli adolescenti”, si legge in un articolo pubblicato nella sezione Newsroom del sito di Facebook. “In effetti, in 11 delle 12 aree presenti sulle slide menzionate dal Journal, incluse quelle delicate come solitudine, ansia, tristezza e disturbi alimentari, molte teenager, che hanno detto di avere difficoltà con queste problematiche, hanno anche aggiunto che Instagram ha reso questi complicati momenti migliori invece che peggiori”, ha sottolineato Pratiti Raychoudhury, vicepresidente ed head of research, che ha firmato il post.

Più nel dettaglio, l’autrice dell’articolo ha fatto notare che l’immagine del corpo è stata la sola area in cui Instagram ha aggravato problematiche già sentite dalle giovani rispetto alle altre 11 aree. Ma ha anche precisato che la maggioranza delle teenager che hanno avuto difficoltà di questo tipo ha comunque sostenuto che Instagram non ha avuto impatto sulla loro situazione o l’ha resa migliore: “Tra quelle ragazze che hanno spiegato di avere problemi con l’immagine del loro corpo, il 22% ha detto che Instagram le ha fatte sentire meglio in relazione a questo aspetto e il 45,5% ha affermato che Instagram non ha avuto un impatto, né positivo né negativo”.

Una versione decisamente diversa di quella raccontata dal quotidiano americano sulla base dei documenti interni all’azienda: il Wall Street Journal aveva illustrato alcuni risultati che erano emersi dagli studi di Facebook, come il fatto che “il 32% delle adolescenti dicono che quando hanno pensieri negativi sul proprio corpo, Instagram le fa sentire peggio”; oppure che “i confronti che avvengono su Instagram possono cambiare il modo in cui le giovani donne vedono e descrivono loro stesse”; o ancora che “i ragazzini danno la colpa a Instagram per l’aumento del tasso di ansia e depressione”.

Facebook non solo ha criticato la lettura dei dati fatta dal giornale, descrivendola “inaccurata”, ha anche sottolineato che alcuni dei risultati emersi si basano su focus group composti da un campione di soli 40 teenager di Instagram nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che hanno avuto difficoltà con tematiche come l’immagine del corpo, l’autostima o uno stato d’animo negativo. Inoltre, questa ricerca “non misura la relazione causale tra Instagram e questi problemi”, ha aggiunto Raychoudhury, sottolineando che i documenti di cui è venuto in possesso il quotidiano erano stati realizzati per le persone che “comprendono i limiti di questo studio”.

Pubblicato su Repubblica Italian Tech il 27 settembre 2021