L’integrazione degli ex ribelli maoisti nell’esercito regolare nepalese intimorisce le autorità politiche indiane, allarmate dalla crescente influenza di Pechino nel subcontinente
di Marco Luigi Cimminella
Dopo sette mesi di stallo politico, il parlamento nepalese ha nominato Jhalanath Khanal come nuovo primo ministro. Leader del Partito comunista marxista-leninista, il capo del governo ha ottenuto l’appoggio delle forze maoiste. Il nuovo esecutivo dovrà affrontare ora due importanti questioni, strettamente legate all’accordo di pace siglato nel 2006: da un lato, la stesura di una nuova costituzione, prodotto del processo di transizione democratica in atto nel paese. Dall’altro, l’integrazione dei combattenti ribelli maoisti nell’esercito regolare o, eventualmente, il loro ritorno alla vita civile.
Le modalità attraverso cui queste problematiche nazionali verranno risolte definiranno anche l’attitudine internazionale assunta dalla nuova élite governativa nei confronti dei suoi storici partner regionali: Cina ed India. I due giganti asiatici sono difatti fortemente interessati al continuo divenire politico nepalese: in gioco, vi sono interessi che spaziano dalla sicurezza all’influenza geopolitica, fino all’economia.
In particolare, sul versante della sicurezza, a preoccupare l’élite politica di Nuova Delhi è il radicamento delle forze maoiste sul territorio nazionale nepalese e nelle strutture di governo. Difatti, da tempo le autorità indiane fronteggiano la minaccia della guerriglia naxalita, soprattutto nelle zone del Chhattisgarh e dell’Andhra Pradesh. Il partito comunista maoista indiano (Cpi-M), braccio politico dei militanti naxaliti, aspira a creare un corridoio rivoluzionario compatto che dal Nepal, attraversando il Bihar, raggiunga l’Andhra Pradesh, per poi discendere nella regione meridionale del paese.
Dal punto di vista economico invece, guerriglieri nepalesi, guidati dalle forze maoiste, hanno più volte impedito l’implementazione di progetti, riguardanti la produzione e la vendita di energia idroelettrica, finanziati da investitori stranieri. Tra questi, figurano soprattutto piani d’investimento indiani, come l’accordo fra la PTC India Ltd, uno dei principali fornitori di energia nel subcontinente, e un grande stabilimento di energia idroelettrica nepalese, naufragato a causa dei protratti disordini sul territorio.
Ma la diffusione capillare delle forze maoiste in Nepal è gravida soprattutto di importanti risvolti geopolitici. Recentemente la Cina ha irrobustito la sua presenza nello Stato himalayano attraverso l’installazione di un suo sistema di telecomunicazioni, che non mancherà di arrecare indubbi benefici politici alla dirigenza di Pechino. In particolare, lamentano i servizi di sicurezza indiani, la Cina potrà ottenere i dati delle conversazioni telefoniche, in entrata ed uscita, degli ufficiali, dei funzionari, degli esponenti del governo, e potrà così pianificare, in anticipo, le contromisure da adottare nei confronti dei propri rivali. In passato inoltre, riferiscono le forze di intelligence di Nuova Delhi, le autorità cinesi hanno incoraggiato la creazione di network maoisti in Nepal ed India al fine di provocare agitazioni e rivolte.
Da qui sono evidenti le perplessità espresse del governo indiano sulla questione dell’integrazione degli ex combattenti maoisti, ideologicamente indottrinati. La loro presenza nell’esercito regolare nepalese o la probabile investitura politica dei quadri militari ribelli sono forieri di un prevedibile indebolimento delle relazioni internazionali indo-nepalesi, a tutto vantaggio del gigante cinese che, attraverso un Nepal più vicino alle sue posizioni, potrebbe ulteriormente irrobustire la sua influenza nel subcontinente.